Sofia

Siamo arrivati a Sofia un anno prima che ci mollassimo male

Loneliness
was tough
The toughest role
you ever played


Elton John, Candle in the wind #1

Siamo arrivati a Sofia un anno prima che ci mollassimo male.

Come se col check-in di Ryanair avessimo anche richiesto – oltre i posti sull’uscita di emergenza – di attivare il countdown, ovviamente pagandolo. Lato finestrino sedeva un tipo che campava con la bancarella di dolci turchi al mercato e scriveva Coccodrilli per il Dnevnik.

– “È più una ricerca di informazioni che saper scrivere. Certo, mi pagano a morto, ma alla fine è come con Elton John a ogni nuova Candle in the Wind“. Severo ma giusto.

Avevo organizzato io, al solito, ed ero esaltatissima, con le moschee e le sinagoghe e le cupole dorate e Aleksandăr Nevski e i laterizi romani e i cibi kosher e tutti i crocevia tra Oriente e Occidente. Presissima dal decifrare il cirillico nei menu – Маргарита 2,50 лв; dalle buche per strada tipo crateri: un sacco di gente zoppa e noi da radical-chic si pensava a qualche morbo ormai debellato dai primomondisti – poliomelite, abuso di etere dietilico su topografia già dissestata e non sufficientemente illuminata, nottambulismo da cuore infranto e altre malattie.

Innamorata del Vitosha Blvd, decadente e mal intonacato e senza trama, come se la nostra corso Vittorio fosse Affori Centro. Ammaliata dai palazzi del Partito, un tempo stelle rosse, ora tricolori. Stregata dai Klek- non fumavo più, ma amavo inginocchiarmi e parlare con i negozianti sotterranei per comprarti le Lucky Strike. Fotografavo stazioni metro e sanpietrini e musicisti klezmer e mancavo il focus sulle nuvole all’orizzonte: era appena iniziato “L’ inverno del nostro scontento”.

Shakespeare se l’era menata tantissimo con ‘sta cosa dell’inverno, un monologo lungo e denso e memorabile ma lui mica c’era mai stato in Bulgaria ad attivare timer del cazzo, e sicuro non aveva mai conosciuto uno scrittore di Coccodrilli, che diciamocelo, col senno di poi si rivela presagio ridicolo del futuro che non c’era.

(Più ridicolo, solo il pastore tedesco – il cane, non il professionista – che al ritorno mi aveva annusato per mezz’ora a causa di 300 grammi di Chubritza nella borsa. Che poi sarebbe Salmoreggia, spezia da tavola e non da fumo. E ci si aspetta che un cane aeroportuale certe cose le sappia, e invece.)