La dernière fois à Nice era la volta dell’ “Hôtel Poubelle”

Être né sous l’signe de l’hexagone,
c’est vraiment pas une sinécure,
et le roi des cons, sur son trône,
il est français, ça j’en suis sûr.


Renaud, Hexagone

La dernière fois à Nice era la volta dell’ “Hôtel Poubelle” incredibilmente costoso e vietato ai maggiori di 34 anni a Rue des Belgique. Prima tappa di un Viaggio del Disagio piuttosto corposo, l’ultimo dell’era pre-covid, c’eravamo io e un gruppo di ventenni variamente assortiti per sesso e aromi a dividere uno scantinato senza finestre – tubi a vista, muffe a vista, punaises de lit a vista, prezzi per un cazzo modici ma con petit dejeuner e mononucleosi incluse (taxe de séjour en supplément, ça va sans dire).


La prima serata di questo imperdibile soggiorno, une fête du vendredi soir che signoramia scànsate, ricordi vaghi di una terrazza insufflata nelle palazzine en face de la gare, tentando conversazioni basiche coi regazzini, bevendo temibili mischioni di vodka da discount e arancia rossa – un bere male-male-male che forse solo alla Balera dell’Ortica e all’Arizona 2000 nella vita – un’orgia di emicrania e cocciniglia di cui ancora ho ben chiaro l’ arrière-goût, e ancora non possiamo mettere la mano sul fuoco circa l’assenza del Rohypnol.


La nuit suivante, sottrarsi all’ennesima festa delle medie con sobria ritirata in camerata, progettando lo spostamento successivo a Marseille sul flixbo torpedone – con l’inquietante sensazione di condividere spazio e silenzio con un venticinquenne esteticamente simile a Charles Manson che, sul letto di fronte al mio e con una camicia di flanella gialla e nera, nonostante i 50 gradi della costazzurra agostana, brandiva una copia di Un amour de Swann girando pagine a ritmi tali che parevano saisons.


Ma fortunatamente le wave della vita cambiano, e dopotutto l’età degli ostelli è volata via. Ora per fortuna la tantagognata maturita economica ci permette di albergare addirittura a Rue Pertinax, tra un kebabbaro, un bar per shishomani e la bottega ad angolo di Monsieur Ibrahim, quello dei fiori del Corano, che nel libro e fuori dal libro continua a dirci che nessuna risposta è una risposta.