Londra

Il Grande Sequestro Londinese – Seconda puntata

But now we keep
where we don’t know
All secrets sleep
in winter clothes


Neutral Milk Hotel, In the aeroplane over the sea

Continua da Il Grande Sequesto Londinese – Prima Puntata

La settimana successiva, la vita scorre solita tra un volantinaggio di CV e raffinate tecniche di cucina molecolare di Cannellini in scatola a 0,45 a barattolo. Ma venerdì mattina – Boom! – mi ricontattano i circensi della quadricromia . Il responsabile IT con casa a Londra, che io da momento zero prendo a immaginare stronzovero come Michael Caine in “Alfie” si congratula con me e manifesta la sua felicità per essere sulla stessa barca.

Senti” – mi fa – ” ti avevan detto che ogni tanto ci potrebbe essere bisogno di venir qui per lavorare fianco a fianco?” – Ride. – “Dai, comunque son contento, ci vediamo domenica sera, fatti lasciare tutte le info del caso e prepara il trolley, guarda che qui fa freddo!”

Riattacco, e i cinque neuroni superstiti in configurazione pendolo di Newton cercano di capire se durante il colloquio mi sia persa qualcosa, magari i vapori della colla del truciolato mi hanno confusa. Anche perchè oggi è venerdì e domenica sera è dopodomani salvo salti temporali. E non ho un trolley. E ho un fidanzato convivente. E ho due genitori poco atti al lasciarmi partire e che in tempo zero mostrerebbero dubbi circa il non avere un contratto o anche solo un accordo firmato con gente di cui so solo il cognome e che pretende io voli in altra Europa su due piedi.

Dovrei raccontar loro una balla? Che domande.
Certamente.

Dopo poco mi chiama la tipa del colloquio. – “Ciao, puoi venire domattina (NdR SabatoPRimaDellaPartenza) qui? cosi ti dico due cose e ti do i biglietti d’aereo e un po’ di sterline?

Ormai proiettata a ritmi da sceneggiatura di Guy Ritchie, mi presento il giorno dopo a CittàLontana70kmDallaMia. Mi vien detto che – Wow! – ora faccio parte dei loro, e che il giorno dopo volerò a Londra. 3 giorni, il biglietto di ritorno è già prenotato per mercoledi alle 17, Stansted – Bari Palese. Cosi da poter avviare una induction valida per proseguire qui in autonomia a partire da giovedi mattina. Ah si si si, Induction is all we need.

Bene. Ryan air. Bagaglio imbarcato già pagato, bello tutto. – Ma dove dormo?

Ah si, non te l’aveo detto, dormirai a casa di M. (Responsabile IT e WEB che vive a Londra, NdR), è un problema?

Io che ormai mantengo una monoface tipo Nicholas Cage ne Il Cattivo Tenente dall’inizio della conversazione nonchè dall’inizio del mese, inizio a unire i puntini da 1 a 100 per vedere che immagine di merda ne vien fuori. Non ho contratti, non ho carte firmate, so a malapena l’identità di ‘sti cristi, non so chicazzo è sto tipo, che vive in altra nazione, dove si parla altra lingua. Qualsiasi persona con un minimi di integrità mentale stopperebbe il processo.

– Perfetto! Non vedo l’ora!

Recupero il biglietto d’aereo a/r e 100 (cento) pounds per taxi e minime necessità. Sono sul treno verso Bari mentre inizio a capire mentalmente a chi sia il caso dire per primo che in meno di 24 ore sarò via nonsaidove nonsaiconchi nonsaiperchècazzo.

Il mio fidanzato, uomo pragmatico e dal dubbio gusto ermetico, sigilla il mio racconto con “Mi sembrano dei coglioni. Buon viaggio.”. Mio padre, sempre stato uomo dal ferreo ottimismo e dall’ aperta mentalità commenta il mio annuncio con “Stai andando a morire in Inghilterra!?”. Mia madre chiude il sipario con un evergreen – “Copriti, che li’ fa umido”.

Saluto i genitori, saluto il gatto, saluto i fratelli, saluto il fidanzato. Saluto gli amici della vita, in un addio ai monti di manzoniana memoria che mi mette evidentemente in empatia con la Mondella in fuga verso morbo certo.

Signore e Signori, desideriamo richiamare la vostra attenzione su alcune dotazioni di sicurazza di questo aeromobile.

Bagaglio imbarcato per 3 giorni : Mutande q.b., Calze q.b., reggiseno q.b., 2 maglie, 2 maglioni, un jeans – a parte cio’ che ho gia addosso,

Questo aereo dispone di 8 uscite d’emergenza: 2 porte nella parte anteriore della cabina, una a destra e una a sinistra; 4 finestrini alari e due porte nella parte posteriore, una a destra e una a sinistra.

Anfibi paramilitari, il trench da ispettore Gadget, la macchina fotografica, pantofole da albergo, una trousse per il trucco e il necessaire da bagno.

Un sentiero luminoso sul pavimento faciliterà la loro individuazione.
In caso di necessità, l’alloggiamento che contiene le maschere per l’ossigeno si aprirà automaticamente, prendete una maschera ed attivatela tirando energicamente verso di voi.

Il laptop, pesante come un giuramento. Norwegian Wood di Murakami e un manuale tascabile dei CSS della Hoepli. Stop. Solo. Tre. Giorni.

Per ulteriori informazioni, vi invitiamo a prendere visione delle norme di sicurezza riportate sul cartoncino posto nella tasca della poltrona davanti a voi.

Sono a Stansted che è mezzanotte passata: il tempo di recuperare la valigia dal malefico rullo e mi trovo a seguire una massa di gente isterica che ipotizzo stia correndo verso l’ultimo treno per la City. In realtà c’è una specie di manifestazione in aeroporto, e faccio presto a notare che c’è la polizia in tenuta antisommossa ovunque. Devio verso il primo cesso, ne esco dopo mezzora ad acque chetate, cercando di capire dove recuperare il Stansted Express. Presto mi ritrovo in treno, in Uk, di notte, lievemente nauseata da motion sickness importante, il telefono che non riesce a switchare su una rete inglese qualsiasi, e l’ansia di non poter avvisare nessuno compreso il perfetto sconosciuto che mi ospiterà.

Arrivo finalmente a Liverpool Street. Una fila di gente bramosa di taxi, io che mi faccio riconoscere subito per la barese irrispettosa standard passando davanti a tutti e guadagnando un paio di Kitemmurt (altri baresi sbarcati, evidentemente ) e due o tre “ehm uhm excuse me, could you please get inline for the cab?” Mezzora di attesa per alla fine trovarmi al cospetto di un tassinaro indianopakistano, cui rivolgermi col piu cordiale dei toni consentitomi dopo le ultime 48 ore di vita vissute in una centrifuga.

Gli chiedo di portarmi a Marylands Road.

Marylebone? Ok. Here we go.

No no, sorry, Marylands Road.

St Mary Road ? Ok. Ok. Here we go.

No no sorry again, sempre Marylands Road.

Inserisce nel navigatore un sàlaMadonna di indirizzo, intanto il malefico aggeggio inizia un calcolo che nemmeno il viaggio dell’ Apollo 13, e vedo il percorso rosso sullo schermo dirigersi minacciosamente fuori Londra e giungere verso il mare, tipo a Brighton.

Capisco che è solo l’alba dei miei problemi comunicativi con il Buddha delle Periferie che m’ è davanti, e con il popolo britannico tutto, e l’abbozzo facendogli leggere la mail coi riferimenti – l’unico straccio di pezzo di carta che m’è dato. Durante il percorso, spesso si manifesta il sospetto che per andare da Liverpool Street Station a Warwick Avenue ci voglia nettamente meno del tempo che stiamo impiegando, insomma ho preventivamente dato un’occhiata alla mappa, non sono una spiantata. Il tassametro confermerà che si, forse il percorso era stato lievemente gonfiato.

In questa diapositiva elaborata in seguito, in blu il percorso effettivo restituto da Google Maps, in rosso quello che pensiamo sia successo:

Arrivo a suonare il campanello del mio ospite alle 2:30 passate. E’ tipo la fine della puntata di Mai Dire Banzai e io son l’unica rincoglionita sopravvissuta: pallida, sprimacciata, acidi gastrici in autogestione, odio per gli indotassisti e capelli appiccicati dalla pioggiadimerda.

Non è decisamente Michael Caine, e mi accoglie in pijama cartadazucchero con un “Pensavo che l’aereo t’avesse lasciato in autogrill.”

To Be Continued – Prossima Puntata