E riderai,
quel giorno riderai
Ma non potrai
lasciarmi più
Franco Battiato, Ritornerai
Continua da Il Grande Sequesto Londinese – Terza Puntata
Ultimo giorno, qui all’ Overlook Hotel. Mi sveglio pronta a riassettare il bagaglio, ma prima controllo che non ci siano teste di cavallo a piè del letto. Avviso il mio fidanzato che arriverò più o meno alle 19 in aeroporto, scendo in ufficio per vedere insieme a Jack le ultime cose prima di andare.
“Buongiorno“- mi accoglie entusiasta – “c’è un problema, mi rendo conto solo ora che non hai conosciuto Lloyd del marketing (continuiamo a usare nomi placeholder a tema nevrosi, NdR). Dovrai lavorarci insieme per il wording delle schede prodotto e per il SEO delle landing. Ti spiace fermarti un altro paio di giorni? Spostiamo il biglietto a sabato mattina?
Prontamente nononèunproblema, salvo poi pensare che non ho più cambio di vestiti e di tutto, ma posso rimediare comprando due-tre mutande da battaglia, un reggiseno da concerto (*) e una maglia-pezza da H&M in Oxford Street – anni di letture di Glamour e Cosmopolitan mi danno quella sicurezza da donna di mondo che in questo momento mi serve per darmi un tono da problem solver. Alle brutte posso lavare a mano i vestiti che ho con me.
I giorni passano, le occhiatacce di Wendy che ormai mi vede come scomoda interferenza al suo Bovarismo primaverile si infittiscono, il bimbo mi chiede di vedere insieme i cartoni animati del trenino Thomas, acutizzando nella madre anche una lieve Sindrome da Leonessa e io inizio a guardarmi le spalle mentre cammino per casa, continuando a dividermi tra il lavoro, Lloyd del marketing che si rivela per lo meno un ottimo sparring partner alcolico, e le strade di Londra. I miei iniziano a dubitare che io stia davvero qui per lavoro, vagheggiando di tresche e giri loschi, in stile The Snatch. Temo che la mia copertura posso crollare al primo momento di difese abbassate.
– Ma l’albergo com’è? – Bello, mamma, molto bello.
Mi invento una toponomastica, una descrizione, perfino il personale che rassetta la camera ha un nome nei miei racconti. Il mio fidanzato è curioso, o furioso – la differenza è una lettera in entrambe le lingue.
Venerdi sera, trolley di nuovo pronto, non faccio in tempo a dire “Crostata di mirtilli” che mi sento dire – “Dai, andiamo con Lloyd a bere qualcosa al pub per festeggiare la tua prossima settimana qui!“
Cerco di nascondere l’almanacco di santi che mi scorre in testa, mi mostro posatissima mentre “AH AH AH Ma che scherzone splendido è?! Eh? “
E Jack mi racconta che ancora non mi vede confident con il CMS – Si vede che hai ancora poca confidenza con lo strumento, qunidi abbiamo deciso che sarà il caso di fermarsi un’altra settimana. Posticipiamo la partenza a venerdì sera.” (Nota per i non addetti ai lavori: un CMS non è la plancia di comando di un cacciatorpediniere – è una roba che usano anche le Fashion Blogger, giusto per essere chiari.)
I giorni scorrono. Potrei mandare tutti a cagare, ma non è fine, e poi il prossimo colloquio altrove potrei ottenerlo nel 2022, e la dieta base lupini nel lungo periodo stanca.
La situazione si fa kafkiana. Inizio a sviluppare tutta una serie di disturbi ascrivibili alle psicopatologie di guerra, da tic fisici a psicosi nostalgiche – inizio a chiamare per nome tutte le mutande che ho. Contemporaneamente prendo anche a mischiare i miei vestiti con quelli della famiglia Torrance per ottimizzare i giri di bucato. Siamo praticamente a giugno, e gli stivali in pelle umana da Standartenführer tessono in regime creativo nuovi microcosmi di vita al loro interno, e il trench inizia a essere praticamente una scatola adiabatica da esperimenti. Inizio quindi ad acquistare pezzi di dubbio gusto estetico, come le temibili infradito viola di cui mi sbarazzerò nel bagno dell’aeroporto di Bari Palese, o la maglia gialla di Never Mind the Bollocks che mi sta stretta parecchio, donandomi forma e appeal di solido di rotazione. Da principio molto attenta ad apparire in tutta la mia italica eleganza, vestita al meglio delle possiblità di un trolley dalla scarsa capienza, mi ritrovo ad andare in giro conciata come la Gattara Pazza dei Simpsons, interpretando accostamenti audaci al limite del possibile: infradito estive, trench invernale, ombrello e cappello da pescatore – facilmente scambiabile per Amy Winehouse in fuga dai paparazzi al rilascio dalla rehab nel 2005.
Le telefonate coi miei son sempre più folk, il rapporto parole affettuose / insulti è di 1 a 5. Il mio fidanzato con toni da melomane inizia a sostenere che no, non tornerò, lui se lo sente. E io inizio a vederlo su Facebook frequentare facce nuove e vecchie glorie, e far feste con gli amici che sarò costretta ad ascoltare in quei racconti sempre preceduti dalla peggiore delle intro : – “Ma ti ricordi quella volta che ila non c’era e noi…”
Non la farò più lunga di quanto non meriti, e come in tutte le ultime di stagione accelererò i tempi come nella miglior tradizione di George R.R. Martin, lasciando sospesi su cui nessuno dormirà fino all’arrivo degli Estranei, e chiudendo le trame a cazzo di cane.
Io, le mie sette mutande con una loro identità, e la mia manciata di vestiti comprati da H&M (ma non quelli invernali, lasciati insieme a pezzi di cuore nel contenitore degli abiti usati della chiesa di St John, ad Hampsted) siamo rimasti sotto assedio per circa 3 mesi. A botte di “Non ti vedo confident sui task” a “forse hai bisogno di fare piu’ pratica col padding” a “Dovremmo fare una riunione con Loyd per decidere il colore del font migliore per aumentare il ROI“, ho vissuto questo periodo oscillando tra il “Cazzomene, sono a Londra, mica a San Germano Vercellese” e il presentimento che al mio ritorno non avrei trovato più nessuno ad aspettarmi. I rapporti con Wendy si son inaspriti finchè un giorno non è tornata a casa al mattino e ha trovato me e Jack addormentati sul divano, uno da un lato una dall’altro, cercando di smaltire una colossale sbornia da Venerdi sera al pub di Sutherland Avenue. E’ partito un mega litigio in stile Guerra dei Roses, che sospetto sia stato il vero motivo del mio ritorno.
Tornata in patria vestita da Campagna di Russia a fronteggiare la corruzione dell’estate barese, avrei trovato al gate le amiche del cuore – ma non il fidanzato – ad attendermi, con dei vestiti estivi da indossare incredibilmente abbinati tra loro.
Dopo più di dieci anni, tutti noi celebriamo Londra come la Madre di tutti i viaggi del Disagio, il Capolettera di un’intera capitolo di vita low-profile che probabilmente non potrà mai arrivare ai fasti di quei tre mesi di squatteraggio poco corporate. Ma non disperiamo.
Il ritorno alla realtà, al pendolarismo cordiale, al lavoro in ufficio con gente improba, con le verdure appese ad asciugare in bagno, con gli orari da piantagione di cotone, e con il gran finale-parossismo che mi vede lavorare nella cantina del palazzo, incastrata tra un template HTML e i salumi appesi a stagionare e farmi 140 km al giorno per godermi tutto ciò, è disagio puro – senza viaggi di sorta a diluirne il fango.
Ma questa è un’altra storia, e si dovrà raccontare un’altra volta. (cit.)
(*) Dicesi Reggiseno da Concerto un reggiseno da due soldi, tipicamente acquistato in catene tipo H&M o Primark a massimo 4,99€ da indossare durante concerti epocali tipo Reunion dei Backstreet Boys o trentennale della carriera di Nek con l’unico scopo di essere slacciato con facilità e lanciato sul palco come profferta sessualissima verso il frontman di turno, senza senso di colpa alcuno nei confronti dello scarso effort economico affrontato per acquistare il succitato capo di lingerie.
Negli scorsi episodi:
Prima Puntata
Seconda Puntata
Terza Puntata
Chi scrive ‘sta roba?
Ciao, sono Ila
Rammendo buchi di sceneggiatura da oltre trent'anni